Dal magma incandescente del ventre di Napoli ho intravisto un bagliore adamantino, qualcosa di luminosissimo come la coda di una cometa, incantata ho seguito quella scia, muta e come assorta in essa. Dinanzi a me infinite piccole finestre contenevano segni, talora appena percettibili, ma magicamente attraenti. Tiro il fiato e mi accingo ad avvicinarmi, ma i miei movimenti sono cauti, temo che accostandomi a questi riquadri, d’improvviso, le immagini possano cambiare, tramutarsi in altro da quello che mi paiono. Questo timore sotteso ha come imbrigliato il mio piacere, e mi rende timorosa, timorosa di perdere l’appagamento già ora raggiunto, vorrei fare dietrofront, rimanere così, nell’incertezza, per non perdere questra già estrema sensazione di piacere, ma non posso neppur fermarmi, debbo giungere a capire. Ed ecco ora sono qui dinanzi ai riquadri, tanto potenti e lievi nel contempo, superfici poco riflettenti con parchi segni, appena ravvicinati talora. La prima domanda a me stessa è che non posso percepire, riguardando, avanti e indietro compulsando le immagini, raffrontandole, collazionandole in presunte serie, quale sia la tecnica che le ha prodotte. Che si tratti di grafica è l’unica certezza, ma è difficile capire se manuale, digitale o a stampa. Dopo un lungo esame posso con sicurezza dire che c’è sicuramente un lavoro di fotografia, forse mescolato al disegno o meglio si è portato, in molti lavori, la macchina a mutarsi in grafite. Le immagini per me irrinunciabili sono proprio quelle in cui l’Autore ha voluto sopprimere il mezzo nelle sue preclare espressioni, usando la tecnologia come un crayon e mettendolo al servizio, non di un pensiero, ma di un credo poetico, un modo di essere e di sentire che per Enrico Grieco sono una scelta di vita, come se avesse preso i voti. Sono la sua professione di appartenenza all’umanità, tutta, come appartenente alla specie umana. Ma di questa razza scellerata e violenta che è la nostra, Enrico Grieco non fa parte, egli è veramente un poeta e sulle tracce di una linea di vita che certamente ha il suo progenitore archetipo in Diogene, levando e ripulendo dal superfluo e dal ridondante ci ha lasciato pochi intensi rispettosi segni che ci danno la sua bellissima, intensa e unica idea dell’umanità. Le sue opere, in effetti dedicate alle Donne, cantano un amore per l’individuo, come animale posto da Dio sulla terra, che è trasversale, si uniforma al di la del sesso ed è valido per tutte le creature. Noi donne, abituate ai complimenti, possiamo leggere in questi amorosi lavori artistici tutto il sentimento a cui aspiriamo e che spesso la vita ci nega. Naturalmente, sa va sans dire che dietro risultati così semplici e limpidi c’è moltissimo, soprettutto un feeling di fondo, sordo e irrinunciabile, come un leit motiv che lega Enrico Grieco all’Oriente, soprattutto alla cultura giapponese, i suoi lavori, un ikebana del corpo, fermano la linea intercettata in un movimento che, come le parole per Ungaretti, vale una intera lirica. Utamaro e la bidimensionalità dell’Arte figurativa Giapponese, l’astrazione implicita in una concezione essenzialmente interiore del fatto artistico, aggallano in questi lavori, ma tutte le sensazioni tutte le idee sono servite all’Autore per creare una propia regola interiore di vita e di lavoro cioè di Arte.
Firenze 20 Gennaio 2011
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Emanuela Catalano
Il corpo
@ ENRICO GRIECO 2013